Il direttissimo che si fermò a Panicale

Gara Letteraria Città di Arese: “Percorsi dell’anima

Ero appisolato sul treno, in viaggio per Roma. Quando il treno, sussultando, mi svegliò.  Sul tavolino dello scompartimento era appoggiata la cartelletta con gli appunti per la presentazione in programma l’indomani a Roma. Stavo aprendola per un altro controllo, ma il mio sguardo fu attratto dalla luce dorata del tardo pomeriggio estivo, che filtrava dal finestrino. Alzai la tendina. Guardai fuori. Riconobbi la campagna toscana, poco dopo Arezzo. Vidi i campi, i frutteti, i boschi, le fattorie sparse sui colli. Tutto ciò mi apparve magicamente in ordine, di una bellezza struggente. Guardai quei colori dolci. Tutti i verdi degli alberi: quello degli ulivi, dei cipressi, delle querce, dei castani. E quello dell’erba tra le terre rossastre e le case bianche e rosate. Ammirai quella geometria magica per cui l’intero paesaggio sembrava costruito come quello nel quadro di un sommo pittore.
La felicità, la bellezza, il senso della vita erano davanti a me. E mi ritornò imperiosa la stessa domanda che mi rivolgevo da ragazzo quando passavo le estati in quei luoghi insieme a mia nonna: “Che cosa devo fare per portarmi a casa questo senso sublime di benessere?”
E un’altra domanda si affacciò alla mia mente: “Che cosa ho fatto in tutti questi anni per essere fedele al ricordo di quei momenti?”
Fu allora che un desiderio impellente prese possesso di me: dovevo fermarmi in quei luoghi! E mi chiesi: “Come posso liberare il mio spirito che anela a ritornare in questi luoghi, e che sta percependo di nuovo quella felicità assaporata un tempo?” Il mio impegno di lavoro mi apparve irrisorio, irrilevante. E mentre mi ponevo queste domande nel pieno di forti sensazioni, il treno a elevata velocità passò la stazione rurale di Panicale. Per magia, immediato un ricordo entrò nello scompartimento. I sedili persero i loro velluti e si trasformarono in quelli di legno di una volta. Persino il movimento e la velocità del treno si modificarono.  Ritornai con la memoria a quel particolare giorno in cui, approssimandosi il treno a quella piccola stazione, mia nonna chiese ad altri viaggiatori presenti nello scompartimento di aiutarla a prendere le valige dal ripiano. “Signora, il direttissimo non si ferma a Panicale, ma a Chiusi- Chianciano Terme”. Osservarono le altre persone. “Per noi due il treno si fermerà, per permetterci di scendere”. Rispose mia nonna. E pochi minuti dopo, entrando nella stazioncina di Panicale, lo stridore dei freni del direttissimo fece rimanere perplessi i compagni di viaggio. Il capo-treno ci aiutò a scendere, mentre il convoglio rallentava quasi a fermarsi. Ci passò le valige e ci raccomandò: “Veloci! Fate alla svelta!”. E dopo aver pudicamente baciato mia nonna, risalì. Il treno riprese lentamente velocità e vidi passare le facce dei compagni di viaggio, che dal finestrino ci guardarono attoniti. Ed io mi sentii il nipote di una regina.
Ma ecco che un altro ricordo si affacciò imperioso alla mia memoria. Mi ritornò in mente la sagoma di un uomo che apparve in trasparenza tra i vetri zigrinati e translucidi della porta di casa milanese. Costui si presentò con un cappello in mano e senza proferire parola. Sentii di nuovo le grida di disperazione di mia nonna che si abbandonò in lacrime sul letto, mentre io cercavo di consolarla.  L’uomo ci sollecitò ad affrettarci a preparare le valige. Non eravamo sicuri rimanendo a casa e bisbigliò qualcosa alla nonna. Dovevamo fuggire! Ansimando corremmo verso la stazione che distava pochi passi dalla nostra abitazione. Salimmo in treno per allontanarci al più presto da Milano e raggiungere dei parenti a Panicale. E nel ricordo, mi parve di risentire la fuliggine dei treni a vapore di allora. Quel fumo denso che entrava negli scompartimenti quando i convogli imboccavano le gallerie.
Un forte sussulto del treno mi riportò al presente.  Il ricordo mi aveva però iniettato nella coscienza una necessità pressante, un impulso dominante, assoluto. E mi dissi: “Non posso proseguire oltre. Troverò una scusa per non presentarmi alla cena di lavoro in programma questa sera”. La decisione fu rapida. Dopo pochi minuti scesi a Chiusi e telefonai alla mia assistente comunicandole che non sarei stato presente alla cena. Presi un taxi con il quale arrivai alla Città alta, posta su un grande colle. Mi inoltrai dentro “I Forti”, i bellissimi giardini comunali dove spesso mia nonna mi portava  su un calesse da Panicale a Chiusi per farmi giocare nel parco con mio cugino..Seduto su una panchina di marmo, in mezzo a pini e cipressi, rimasi a guardare il panorama circostante.
Una brezza si sollevò dalla valle e mi accarezzò, portandomi profumi di un tempo e antiche sensazioni. La interpretai come una carezza inviata da mia nonna tramite il “genius loci”, lo spirito del luogo. Si propagò dentro di me una felicità così intensa da modificare il mio respiro, come se fossi in procinto di raggiungere un climax e avessi bisogno di più ossigeno. Il soffio magico della brezza serale e la bellezza della natura circostante mi resero poroso ad una emozione che mi scosse sino al fondo del mio animo. Risvegliarono quella parte della mia personalità acquattata tra le sinapsi del cervello e capii che la mia esistenza era legata con un filo peculiare al mio passato. Ero storia per me stesso. Non ero semplicemente l’individuo seduto sulla panchina di marmo che fino a poche ore prima si accingeva a controllare delle note per un incontro di lavoro. Ero i miei pensieri pieni di tracce di un mio passato più profondo. Ero le carezze di mia nonna, la dolcezza serena con cui mi aveva guidato per anni. Ero le mie vacanze adolescenziali, le mie letture stratificate nella mia mente, le mie amicizie, i volti impressi nella mia memoria, le mie frustrazioni e gioie. Non ero solo il manager di una grande azienda: ero questo lungo romanzo che formava la mia vita. Mi resi conto di come fosse stato un vero peccato aver ignorato tutto questo per così lungo tempo. Fu allora che uno stimolo irrefrenabile prese possesso di me: dovevo cambiare il percorso della mia esistenza.
E incominciai a sentirmi un uomo nuovo.

Autore articolo: Giorgio Fiorini

2 thoughts on “Il direttissimo che si fermò a Panicale”

  1. Piera Cannizzaro

    Un intreccio di ricordi, sensazioni, emozioni …
    Una finestra sul passato, che entra d’improvviso nel presente …
    Lo svolgersi di un filo che si era perso nel tempo …
    Complimenti Giorgio!

    Piera

  2. Giorgio Fiorini

    Grazie Piera. Una soddisfazione notare la sensibiità espressa con la tua “recensione” . Hai sottolineato l’importanza dell”intreccio di ricordi che modellano una vita.
    PS. Ho ritardato a risponderti, essendo stato in viaggio all’estero e di ritotno solo ieri.

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