Antidoto alla malinconia

Cari amici,
un po’ per la fine dei corsi e anche per la situazione di disagio comunicatami da un mio amico ex collega, prossimo al pensionamento,  ho voluto scrivere due righe sull’argomento “malinconia”. Pensieri che naturalmente ho inviato anche a lui, sebbene  in forma meno formale.

La malinconia è una sensazione che spesso si affaccia nel corso della vita. È una ventosa che si attacca al nostro animo particolarmente a inizio dei cinquanta anni e in maniera ancora più pervicace, al traguardo dei sessanta, o in generale quando si va in pensione.
È un’atmosfera grigia che annebbia il nostro spirito ed è diversa da quella della menopausa, del climaterio, della perdita dei capelli, delle rughe e borse sotto gli occhi, o dello sconforto all’insorgere di una grave malattia. È una percezione di sconforto che prende possesso dei nostri pensieri spesso quando si è perso un ruolo nel lavoro o quando i figli si sono resi indipendenti. Ovvero nel momento in cui ci si accorge che ci sfugge la nostra funzione di guida e di riferimento per gli altri.              A questa sensazione si aggiunge la certezza che il tempo non ha mai smesso di correre; anzi sembra correre più velocemente.
Una persona in queste situazioni dovrebbe aprirsi alla consapevolezza di essere qualcosa più di una “risorsa umana” aziendale, ma un individuo di “utilità allargata”, in grado di porsi altri obiettivi esistenziali. Sentire la soddisfazione di aver tirato su un figlio (nel caso se ne abbia avuti) autonomo e pronto ad andare per il mondo, non vale quanto, se non di più, l’aver raggiunto il piano economico-finanziario di un’azienda per renderla competitiva?
E la gratificazione che si prova nell’aver reso autonomi i propri figli, non assomiglia a quella che nasce dalle relazioni positivamente sviluppate con colleghi e aiutanti, soprattutto per quelli più giovani, quando si sono avuti ruoli di leadership? Sebbene molti di noi, durante il proprio impegno professionale, abbiano dimostrato e ricevuto riconoscimenti per la predisposizione a sentirsi utili per lo sviluppo degli altri “consociati aziendali”, arriva sempre il momento fatidico del “canto del cigno”.
Un antidoto a questa malinconia (depressione nei casi gravi) comunque esiste: rendersi consapevoli che la libertà e indipendenza dei figli, o il doversi togliere il “cappello” del businessman di successo (per alcuni “la camicia di forza”, esagerando nella metafora, di un certo ruolo professionale) in coincidenza con il pensionamento, possono aprirci una nuova esperienza di vita. Quella che nasce dal ritrovamento della nostra libertà più genuina. Parlo di quella libertà provata durante i 13/ 18 anni del periodo scolastico. Una libertà che è rimasta racchiusa nel profondo della nostra psiche e mai dimenticata.  Meglio allora sfruttare questo rinvenimento magico che è il migliore catalizzatore per innestare una maggiore vita sociale e di relazione, corredata da interessi culturali ed esperienze nuove. Ad esempio, credo che l’iscrizione a corsi dell’UNI TER o a quello di teatro della Città di Arese, diretto da Lionello Turrini, siano funzionali al raggiungimento di questa esigenza.
È il momento di aprirsi e di condividere nuovi piaceri con chi ci sta accanto, se si ha la fortuna di non essere soli. E nel caso lo fossimo, come spesso è comune a molti soprattutto nella terza età, non ci si deve arrendere: bisogna combattere l’eventuale sensazione di smarrimento, andando alla ricerca di nuove cose. E perché no: anche di nuove persone.

Edgar Degas, Malinconia
Edgar Degas, Malinconia

Autore articolo: Giorgio Fiorini

2 thoughts on “Antidoto alla malinconia”

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    Alba Bordini

    E’ vero, Giorgio, che ognuno di noi prima o poi si trova nel “quadretto melanconico” da te descritto: i tuoi suggerimenti sono tutti condivisibili e il fatto stesso di parlarne contribuisce ad alleggerire l’atmosfera di chi attraversa questo momento di difficoltà. Buona estate!
    Alba

    1. Giorgio Fiorini

      Alba, grazie per il commento: fa sentire meno soli e …malinconici :-).
      Buona estate anche a te.
      Giorgio

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