COME STA IL PIANETA CHE CI OSPITA (19) – COP28

COP28 – prima osservazione.

E’ in corso la COP28 (la conferenza sul clima delle Nazioni unite) e volevo presentare alcuni dati che si riferiscono ai primi risultati che sono stati raggiunti … e ampiamente enfatizzati. Partiamo con il fondo “Loss & demage” che sembra abbia preso vita. Si tratta di un fondo creato per risarcire i Paesi più poveri del mondo che stanno subendo danni a causa dei cambiamenti climatici …. provocati da ben meno numerosi Paesi cosiddetti ricchi. I Paesi più vulnerabili dovranno anche intervenire per non peggiorare la situazione e non potranno beneficiare del benessere che abbiamo goduto … non curandoci della salute del “Pianeta che ci ospita”.

Sono 30 anni che nelle COP se ne parla e già nella COP21 di Parigi del 2015 si era deciso di dare vita dal 2020 ad un fondo annuale di 100 miliardi di dollari da utilizzare per indennizzare i Paesi “meno fortunati”.

Finora sono stati “offerti” 726 milioni di dollari … “offerti” perché sembra un obolo che neanche lontanamente si avvicina ai 100 miliardi previsti … e che secondo recenti studi dovrebbe essere ben superiore. Gli Emirati Arabi Riuniti, la Francia, la Germania, UK e Italia hanno promosso 100 milioni e gli USA, uno dei maggiori inquinatori del mondo, 17,5 milioni. Hanno promesso perché dopo la dichiarazione dei governanti e dei capi di stato ora saranno i tecnici a definire come dovranno essere versati i fondi, chi li gestirà e come suddividerli tra i Paesi “deboli”.

Cop28, dopo anni di attesa nasce il fondo per risarcire i danni del clima nei Paesi più poveri. Ma i finanziamenti volontari non basteranno.

Se su un fondo che i Paesi poveri aspettano da trent’anni l’accordo arriva al primo giorno di Conferenza delle Parti sul clima, ma non spazza via dubbi, incertezze e scetticismo, una ragione deve pur esserci. In questo caso, più di una. Alla Cop 28, infatti, è stato raggiunto un accordo per rendere operativo il cosiddetto fondo “Loss&damage“, per risarcire i Paesi più poveri e vulnerabili del mondo per le perdite e i danni subiti a causa dei cambiamenti climatici. Una grande vittoria certamente per gli Emirati Arabi, che ospitano la Cop disertata dai presidenti di Stati Uniti e Cina, Joe Biden e Xi Jinping. È la prima volta nella storia che, nero su bianco, si riconosce che alcuni Paesi abbiano diritto a un risarcimento per i danni causati dalle politiche di quelli più ricchi. Tra i primi impegni, quello degli Emirati arabi uniti che hanno risposto alle pressioni internazionali di contribuire (anche se sulla carta restano Paesi in via di Sviluppo, ndr) con 100 milioni di dollari. Altri 100 arriveranno dalla Germania, 60 milioni di sterline dalla Gran Bretagna (40 per il fondo e 20 in accordi di finanziamento), 17 dagli Stati Uniti e 10 dal Giappone. Altri dovrebbero arrivare nei prossimi giorni, tanto che pare che già nella prima giornata di Cop in ambito Ue ci fosse la disponibilità di contributi per almeno altri 125 milioni, oltre ai cento di Berlino. Ma si parla di somme non ufficiali e suscettibili di modifiche. Inevitabile che la decisione fosse accolta, se non altro per quello che rappresenta, con una standing ovation dai delegati dei 195 Paesi partecipanti alla Cop. Ma alcuni impegni sono effettivamente minimi, soprattutto in proporzione al grande contributo offerto invece alle emissioni globali. E non è detto che la struttura di questo fondo, così come è concepita ora, possa davvero rappresentare una vittoria anche per i Paesi che di quelle risorse hanno un bisogno urgente e disperato, ossia i piccoli Stati insulari.

Il fondo Loss&damage arriva subito, ma i conti non tornano – Dopo decenni di richieste, del fondo si era ampiamente discusso per la prima volta – anche alla luce dei disastri climatici sempre più incalzanti – alla Cop 26 di Glasgow, ma la decisione di istituirlo era stata presa lo scorso anno, alla Cop 27 di Sharm el-Sheikh. Già da qualche anno è chiaro a tutti che la cifra immaginata, ossia 100 miliardi di dollari all’anno, da aggiungere ai fondi destinati a mitigazione e adattamento (altri 100 miliardi all’anno dal 2020 al 2025), non sarebbero stati sufficienti. L’accordo raggiunto non supera il dilemma: è stato concordato che al fondo dovranno arrivare almeno 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, ma i Paesi in via di sviluppo stimano che servono quasi 400 miliardi di dollari all’anno. D’altro canto, l’ultimo rapporto Unep cita uno studio recente secondo cui le 55 economie più vulnerabili già subito perdite e danni per più di 500 miliardi di dollari negli ultimi vent’anni. Secondo uno studio pubblicato questa settimana dall’Università del Delaware, le perdite e i danni derivanti dal cambiamento climatico costeranno circa 1,5 miliardi di dollari nel 2022. I paesi del Sud del mondo hanno perso in media l’8,3% del Pil. A questo riguardo c’è chi ha definito imbarazzante l’impegno assunto da Stati Uniti e Regno Unito.

Ancora una volta impegni “volontari” – Un altro problema è rappresentato dalla struttura stessa del finanziamento. Che non c’è. I versamenti saranno “volontari”, caratteristica che negli accordi presi alle Cop non ha quasi mai portato a nulla di buono. Certamente ha rallentato molti processi. Eppure dalla Cop 27 a oggi il nodo non è stato sciolto: i Paesi sviluppati sono “invitati”, ma non “vincolati” a contribuire al fondo. Di conseguenza non c’è neppure un obbligo di contributo. Tutti i paesi in via di sviluppo e quelli vulnerabili hanno diritto ad accedere direttamente alle risorse del Fondo, con una percentuale minima di assegnazione per i paesi meno sviluppati e i piccoli stati insulari.

La gestione della Banca Mondiale – E poi c’è il tema della gestione. Sarà la Banca mondiale ad amministrare per quattro anni il fondo, che dovrebbe essere avviato nel 2024. Una condizione che i Paesi in via di sviluppo hanno dovuto accettare, nonostante le tante riserve. Perché gli Stati Uniti e altre grandi potenze hanno un certo controllo sulla Banca mondiale che, per avviare il fondo, ha richiesto un minimo di 200 milioni di dollari. E per il timore che la storia si ripeta. Sintetizzano bene quale è il problema le parole di Mohamed Adow, direttore di Power Shift Africa: “Abbiamo bisogno di nuovo denaro, sotto forma di sovvenzioni, non di prestiti, altrimenti non farà altro che accumulare ulteriore debito su alcuni dei paesi più poveri del mondo, vanificando lo scopo di un fondo progettato per migliorare la vita”. Dunque sovvenzioni (ma nel testo sono previsti anche prestiti agevolati e altri strumenti finanziari) e, naturalmente, trasparenza. Non proprio ciò che è accaduto finora con i finanziamenti arrivati nei decenni ai Paesi poveri del Sud del Mondo. Durante l’incontro semestrale degli Stati membri europei, il presidente della Banca mondiale, Ajay Banga, ha affermato di essere consapevole della necessità di includere una buona rappresentanza dei paesi del G77 nel consiglio di amministrazione del fondo. Che, comunque, avrà una segreteria indipendente con un consiglio di amministrazione composto da membri del comitato di transizione. “Il lavoro è lungi dall’essere finito” ha commentato Pa’olelei Luteru, presidente dell’Alleanza per i piccoli stati insulari (Aosis) che rappresenta gli interessi di 39 piccole isole e stati costieri in via di sviluppo. “Non potremo riposarci – ha detto – fino a che il fondo non sarà adeguatamente finanziato”.

Cop28, Meloni: “100 milioni al fondo Loss and Damage”. Altri 100 dagli Emirati. La contropartita? Più petrolio e più a lungo.

Se la prima giornata della Cop 28 di Dubai sarà ricordata per l’ok al Fondo Loss and damage e ai primi impegni presi da alcuni Paesi per risarcire i Paesi più poveri e più vulnerabili che fanno fronte alle perdite e ai danni provocati dagli impatti del cambiamento climatico, parte così anche la giornata numero due. Quella dell’arrivo della premier italiana, Giorgia Meloni. “Stiamo dando al fondo Loss and Damage 100 milioni di euro per contribuire a raggiungere gli obiettivi di questa Cop28” ha detto intervenendo alla sessione di alto livello della Cop28 sui sistemi alimentari. A fare il punto sull’Unione europea la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio Ue Charles Michel: “In aggiunta, 25 milioni di euro dal bilancio dell’Ue saranno resi disponibili immediatamente”. E gli Emirati Arabi, che su quel fondo gestito temporaneamente dalla Banca mondiale metteranno 100 milioni di dollari, hanno appena annunciato la creazione di un Fondo per il clima da 30 miliardi di dollari che dovrebbe stimolare la raccolta e l’investimento di 250 miliardi di dollari entro il 2030. Il presidente del Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva, nel suo discorso ha comunque ricordato che nel mondo lo scorso anno “sono stati spesi 2mila miliardi di dollari in armi”. Ma rispetto agli annunci di questi giorni, la contropartita è già pronta. E sarà giocata sul tavolo dell’abbandono (si fa per dire) dei combustibili fossili.

La contropartita dei combustibili fossili – In un’intervista al Corriere della Sera, Sultan Al Jaber, presidente della Cop28, lo dice chiaramente: “Non possiamo semplicemente spegnere il sistema energetico odierno mentre costruiamo quello di domani”. E ancora: “Dobbiamo costruire una risposta alla crisi climatica che non lasci indietro nessuno: 750 milioni di persone non hanno accesso all’elettricità e la popolazione globale crescerà di 500 milioni entro il 2030. Dobbiamo venire incontro a questa domanda nella maniera più sostenibile e allo stesso tempo assicurare la sicurezza energetica, l’accessibilità e la convenienza”. D’altronde, in una accelerazione della transizione energetica, gli Emirati Arabi Uniti sono uno dei 28 petrol-stati che rischiano di perdere più della metà del loro reddito da combustibili fossili entro il 2040. Lo rileva un rapporto del think tank finanziario Carbon Tracker, secondo cui quaranta Paesi con un’elevata dipendenza economica dalle entrate del petrolio e del gas potrebbero veder calare i ricavi dai 17mila miliardi di dollari previsti in condizioni di business as usual a 9mila miliardi di dollari in una transizione coerente con la limitazione del riscaldamento globale a 1,8 gradi centigradi dal 2023 al 2040. Ma il peso dei combustibili fossili non è solo un problema dei petrol-stati. I nuovi dati dell’Ocse e dell’Aie (Agenzia internazionale dell’energia) mostrano che il costo fiscale del sostegno globale ai combustibili fossili in 82 economie è quasi raddoppiato arrivando a 1.481,3 miliardi di dollari nel 2022, rispetto a 769,5 miliardi di dollari nel 2021. I governi, viene ribadito, hanno adottato misure per compensare prezzi dell’energia eccezionalmente elevati, spinti in parte dalla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina. L’analisi mostra anche una ripresa del sostegno alla produzione e al consumo di carbone, che ha raggiunto i 36,1 miliardi di dollari nel 2022, un aumento del 60% rispetto al 2013.

Cop28. Il Sultano: «Senza petrolio si torna alle caverne». Polemiche e precisazioni.

Bufera a Dubai per le parole di Ahmed al Jaber, presidente della Cop28 e alla guida della compagnia petrolifera degli Emirati Arabi. Guterres (Onu): si rischia il negazionismo. Poi la precisazione.

La Conferenza sul clima in corso a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, è stata scossa domenica da un intervento che ha ridato fiato e voce a chi aveva espresso dubbi sull’opportunità di ospitare la Cop28 in un Paese che è il settimo produttore di greggio al mondo.

Durante uno scambio di opinioni in un forum online con l’ex leader irlandese Mary Robinson, il sultano Ahmed al Jaber, ministro dell’Industria degli Emirati Arabi e amministratore delegato della compagnia petrolifera statale, ha affermato che «nessuna scienza sostiene che l’eliminazione graduale del petrolio risolverà i problemi del clima» e che «l’eliminazione dei combustibili fossili riporterebbe il mondo nelle caverne».

Le parole di al Jaber, 50 anni, che è anche inviato per il clima degli Emirati Arabi Uniti e presidente della Cop28, hanno sollevato immediatamente un polverone. Tanto che lunedì, durante una conferenza stampa, il sultano ha dovuto fare una precisazione, dichiarando pubblicamente di «rispettare le raccomandazioni della scienza sul cambiamento climatico». «Sono ingegnere – ha spiegato -, ho rispetto nella scienza. Sono un economista e combino la passione per la scienza e il business. La scienza è al centro del mio progresso nella carriera. Rispetto numeri e dati. C’è confusione e ci sono cattive interpretazioni. Aiutatemi a chiarire questi concetti».

A diffondere l’audio, rubato nel corso di una sessione dei lavori, era stato un consorzio di giornalisti investigativi, Climate Reporting, e i commenti di al Jaber sono stati riportati in un video dal quotidiano online “The Guardian”. «L’1.5 è la mia stella polare – aveva dichiarato al Jabel riferendosi agli obiettivi di Parigi in termini di aumento della temperatura globale – e, nella mia mente, la riduzione e l’eliminazione graduale dei combustibili fossili è inevitabile, è essenziale. Tuttavia dobbiamo essere reali, seri e pragmatici al riguardo».

Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che nei giorni scorsi aveva parlato di «destino dell’umanità in bilico» a causa dell’emergenza climatica, e aveva invitato a intervenire per «evitare lo schianto», ha espresso indignazione per le parole di al Jaber. «Si tratta di affermazioni gravissime e assolutamente preoccupanti, sull’orlo del negazionismo climatico», ha detto Guterres. Molti partecipanti alla Conferenza hanno chiesto esplicitamente le dimissioni di al Jaber.

L’inviato speciale degli Emirati è da tempo nel mirino degli ambientalisti che lo accusano di conflitto di interessi, essendo il numero uno di Adnoc, la compagnia petrolifera statale. Un portavoce della Cop28 è intervenuto a sua difesa: «Gli scenari 1.5C dell’Iea e dell’Ipcc affermano chiaramente che i combustibili fossili dovranno svolgere un ruolo nel futuro sistema energetico, anche se più piccolo. Ancora una volta si vogliono minare i risultati tangibili della presidenza dando una falsa visione della nostra posizione e dei nostri successi fino ad oggi».

La sfida “Loss and Damage”

Il primo tema riguarda il sostegno ai Paesi in via di sviluppo nel rispondere agli effetti del riscaldamento globale. Siamo entrati oramai in una fase di “anormalità climatica permanente”, il 2022 è stato un anno funestato da eventi meteo estremi, con gli 8 milioni di sfollati per l’inondazione del Pakistan e la peggiore siccità che ha colpito l’Europa negli ultimi cinquecento anni. E il 2023, secondo l’Organizzazione mondiale della meteorologia, si candida a essere l’anno più caldo mai registrato nella storia. Tenendo conto che i Paesi più poveri sono quelli che hanno contribuito meno alla crisi climatica e, al tempo stesso, ne subiranno le peggiori conseguenze, con quasi la metà dei morti causati dalla crisi climatica che secondo le stime si concentrerà in Africa, aiutarli ad affrontare questa crisi non può non rappresentare una priorità. Secondo un recentissimo report pubblicato dall’Unep, il Programma ambientale dell’Onu, servirebbero tra i 215 e i 387 miliardi all’anno per consentire ai Paesi più poveri di difendersi dal riscaldamento globale, ossia tra 10 e 18 volte in più di quanto fatto fino a oggi. Per tutti questi motivi la sfida della Cop28 sarà quella di rendere pienamente operativo lo strumento Loss and Damage, istituito nella precedente Cop di Sharm El-Sheik per riparare ai i danni che Paesi più poveri inevitabilmente subiranno dal cambiamento climatico.

The UAE announced today its commitment of $100 million to the Fund, which aims to provide financial assistance to countries at extreme risk from climate change, to support climate change mitigation and recovery. Other countries making notable commitments included Germany, which committed $100million, the UK, which committed £40million for the Fund and £20million for other arrangements, Japan, which contributed $10million and the U.S., which committed $17.5million. https://www.cop28.com/en/news/2023/11/COP28-Presidency-unites-the-world-on-Loss-and-Damage

Il nodo dei gas serra

Il secondo tema riguarda la riduzione delle emissioni di gas serra. Come previsto dall’Accordo di Parigi, la Cop28 ospiterà il primo stocktake sul clima, ossia il momento in cui si valuterà l’effetto congiunto di tutti gli impegni nazionali (i c.d. Nationally Determined Contribution – NDC) e, soprattutto, si chiederà un aumento delle ambizioni degli NDC nel caso in cui questo non risulti compatibile con gli obiettivi concordati a Parigi nel 2015. Il 14 novembre è stato reso pubblico il report ufficiale delle Nazioni Unite, nel quale sono stati analizzati gli impatti di 168 NDC, corrispondenti al 95% delle emissioni globali di gas serra. Gli esiti sono, purtroppo, sconfortanti. Sommando tutti gli NDC – e immaginando, quindi, che gli obiettivi in essi contenuti siano tutti pienamente raggiunti – rispetto al 2019 le emissioni mondiali di gas serra si ridurrebbero, nella migliore delle ipotesi, di meno del 10%, passando da 53 a 48 miliardi di tonnellate all’anno. Molto lontano da quello che dovrebbe essere, se pensiamo che per limitare l’aumento della temperatura globale tra 1,5 e 2°C, obiettivo dell’Accordo di Parigi, dovremmo tagliarle tra il 30% e il 43%. Riuscirà la conferenza di Dubai a far fare lo scatto in avanti necessario per adeguare i livelli di ambizione dei Governi?

Roadmap per ridurre l’uso del carbone

Il terzo e ultimo tema, strettamente collegato al precedente, riguarda la necessità di definire una roadmap chiara per ridurre drasticamente l’utilizzo di carbone, petrolio e gas. Un altro recentissimo report, sempre promosso dall’Unep, ha svelato una scomoda verità: nonostante in molti casi abbiano presentato obiettivi di azzeramento delle proprie emissioni di gas serra, i 20 più importanti Paesi produttori di combustibili fossili hanno programmi di sviluppo della produzione di carbone, petrolio e gas del tutto incompatibili con l’Accordo di Parigi, che al 2030 porterebbero queste Nazioni a produrre in un anno il doppio dei combustibili fossili che potremmo materialmente consumare. Considerando che tra questi compare anche il Paese ospitante della 28° Conferenza mondiale sul clima, anche su questo punto non c’è, purtroppo, di che essere ottimisti.

Autore articolo: Vittorio Livraghi

2 thoughts on “COME STA IL PIANETA CHE CI OSPITA (19) – COP28”

  1. Giorgio Fiorini

    Desidero esprimere i miei complimenti a Vittorio Livraghi per la chiarezza e utilità dei suoi articoli: mi auguro che ne continui la pubblicazione, Auguri di Buone Feste a Vittorio e a tutti i lettori del blog. Giorgio Fiorini .

  2. Grazie Giorgio, continuerò sicuramente … anche perché argomenti al riguardo non mancheranno mai. Il mio intento è quello di fornire delle informazioni “certificate” sul questo tema così importante per tutti e soprattutto per le prossime generazioni.
    Buon Natale a tutt* e che sia in Natale Sereno, ne abbiamo bisogno.
    Vittorio

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