Il FUTURO PROSSIMO (S)VENTURO

Non voglio affrontare nessuna polemica verso chi sostiene che ci sono problemi molto più cogenti di cosa ci stiano preparando le nuove tecnologie o l’effetto serra. Né mi ci trovo a contrastare l’innovazione tecnologica facendo la parte di Ludd, che combatteva contro la perdita di lavoro operata dall’avvento del telaio meccanico. Non respingo l’idea che  la robotica e l’intelligenza artificiale  costituiscano una rivoluzione epocale: possono liberare risorse dell’economia a beneficio della fabbrica 4.0.   Una certa paura del futuro però la sento e nasce da alcuni fattori sotto osservazione.  Il primo: il nodo scorsoio del peggioramento climatico del nostro pianeta. Su questo tema, non rimane che sperare che i Venerdì delle marce giovanili per la salvaguardia della Terra non si riducano a slogan e parole d‘ordine di una società in cerca di sollievi e nobili diversivi.  Ho fiducia comunque nei giovani: rappresentano una collettività ancora in grado di inseguire desideri per un futuro più vivibile, basato sulla distribuzione più equa della ricchezza prodotta con risorse rinnovabili.  Il secondo fattore da considerare è il timore che intelligenza artificiale e robotica possano distruggere l’occupazione, sostituendo gli essere umani nelle loro attività. Non sto a ripetere le discordanti previsioni degli esperti, se non per dire che certamente il lavoro cambierà e i nuovi lavori richiederanno nuove competenze. A un giovane direi: vuoi provare a immaginare il futuro di un mestiere? Domandati: può essere sostituito dalla tecnologia? Se certe cose può farle anche una macchina, stai tranquillo, prima o poi accadrà. È successo nella prima rivoluzione industriale (vapore), nella seconda (elettricità), nella terza (automazione). Succederà anche nella quarta, ma questa ultima rivoluzione appare la più sconvolgente. Non tanto per le sue conseguenze sul mercato del lavoro, tutte da verificare,  ma soprattutto per un altro aspetto: stiamo vivendo non solo una rivoluzione tecnologica, economica e culturale, ma anche mentale. Sembra che le sinapsi dei nostri cervelli si stiano adeguando ai ritmi della comunicazione algoritmica. Innegabili e riscontrabili le conseguenze nella comunicazione interpersonale (aspetto su cui non mi dilungo avendolo già affrontato nei miei articoli precedenti). Questa metamorfosi antropologica sembra intaccare i processi psicologici soprattutto delle generazioni X, Y , Z (ce le ho messe tutte tranne quella  dei baby boomer, per una difesa di specie, anche se, in verità, faccio parte di quella precedente a quest’ultima …  mannaggia cavallina!). Un processo mentale, che forse avviene a nostra insaputa, ma che è ravvisato da molti studiosi di antropologia e psicologia sociale.  Una modifica dei circuiti deputati alla elaborazione del pensiero che si sviluppa negli individui per non farli sentire a disagio nella corsa competitiva verso il futuro della nostra società. E ne sanno qualcosa di questa sensazione fastidiosa  in particolare “gli anziani analogici”, che per non essere lasciati nelle retrovie in questa volata verso il futuro, si iscrivono ai corsi di informatica delle  ”Università delle Tre Età”: come lo scrivente, che coglie l’occasione per ringraziare UNI TER di Arese per il supporto datogli per non lasciarlo nel girone degli “imbranati tecnologici”!
Considerazione e consiglio finali: sarebbe sbagliato liquidare con fastidio il problema delle incognite del futuro prossimo (s)venturo, rappresentate dai tre fattori sopraindicati. Un futuro che avanza a passi velocissimi verso di noi.
Consiglio di allacciare le cinture di sicurezza della consapevolezza e analisi critica: lo scontro potrebbe essere fatale!

Autore articolo: MdL Giorgio Fiorini

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